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mercoledì 18 ottobre 2017

Bestemmiare come un ateo.

"Anto, tu sei ateo, no?"

Sono ancora piegato su me stesso, il pollice sinistro, pulsante , è già violaceo (la martellata è stata forte, sì), stretto nella mano destra come se l'intento fosse quello di comprimerlo per evitare che esploda. Cerco di mantenere un briciolo di dignità, ma il dolore è così forte che mi vengono le lacrime agli occhi. Ansimo e bestemmio in un sussurro, quattro sillabe speciali che si allungano sulla erre e sulla d. Da farci un mantra, gente.

"Oh", fa quello, tutto serio. Mi giro a guardarlo come se mi avesse appena fatto la pipì sul tavolino del salotto. "Sei ateo o no?", mi chiede.

"No, sono evoluzionista e razionalista. Cazzo!" Tiro il fiato, tiro altre tre bestemmie e oso guardarmi il pollice: l'unghia è già quasi interamente nera. "Merda!", sìbilo. Ciao ciao chitarre per una settimana.

"Chiaro che sono ateo, ma l'esserlo è solo una conseguenza. Non ho studiato per diventare ateo, e non avevo l'obiettivo di diventarlo. Sono diventato ateo leggendo altra roba, ok? Incidentalmente. Astronomia, biologia, fisica, chimica e geologia non hanno lo scopo di negare l'esistenza di una divinità. Eppure, incidentalmente, nel loro complesso la negano, quell'esistenza. E se ne sbattono pure, ok?". Barcollo verso il lavandino del bagno, apro l'acqua fredda e ci metto sotto il pollice. Quello si mette a fare ancora più male, quindi ribestemmio. Sto così per un po', cambiando ogni tanto divintà.

"Comunque non credi in Dio", mi dice lui, che mi ha seguito e si sta godendo la scena dell'ateo sofferente con la mano al fresco.

Eccone un altro, penso, e chiudo l'acqua. "No", dico io asciugandomi con delicatezza la mano. Muovo il pollice: fratture non dovrei averne. Il dolore un po' è diminuito. "Così come non credo agli unicorni, alle fate del bosco, agli gnomi e ai semidei umanoidi che sarebbero nati sulla terra, da madre umana e padre divino, e che avrebbero compiuto imprese straordinarie, per poi diventare a propria volta una divinità", dico mentre vado in cucina, prendo un ghiacciolo, lo avvolgo in un tovagliolo e me lo piazzo sul dito. Lui mi guarda male. "Sto parlando di Ercole", preciso. E lui mi guarda peggio, perché ha capito che lo sto coglionando.

"Se non credi in Dio, perché bestemmi?", mi chiede con l'aria di quello che ha appena calato sul tavolo una scala reale.

"Perché mi sono tirato una martellata sul dito", dico io."Martellata sul dito, testata contro uno stipite, mignolino contro il comodino, tibia contro spigolo di un gradino in cemento... sono tutte situazioni da bestemmia. Sono situazioni in cui la bestemmia è appropriata, consona, liberatoria".

"No", mi dice lui, "non è quello che intendevo. Non il motivo per il quale bestemmi, non la martellata o la testata. Volevo chiederti: perché bestemmi un dio che non credi che esista? Non ti sembra una cosa stupida da fare? Voglio dire: sei così razionale su tutto, perché nella bestemmia diventi irrazionale, e ti rivolgi ad un dio che secondo te non esiste?". La sua faccia a questo punto ha assunto l'espressione di chi ha fatto scacco matto e scala reale mandando in bancarotta gli altri a Monopoli.

"Hai presente cos'è un meme culturale?"
"I meme quelli che girano in rete?"
Faccio segno di no.

"Il meme culturale è l'equivalente culturale del gene in biologia. Il meme è un'informazione che si trasmette culturalmente di generazione in generazione, attecchendo durante i primi anni dell'infanzia. Dawkins faceva l'esempio del "non ci si avvicina ai serpenti" e "non si gioca vicino ai burroni". Sono informazioni che il bambino deve prendere per buone, senza potersi permettere il lusso di sperimentarne sulla propria pelle gli effetti della loro non osservanza, perché altrimenti rischierebbe di morire: per il morso del serpente o per essere precipitato giù da un burrone. Ok?"

"Cazzo c'entra col fatto che sei ateo e bestemmi?"

Sospiro: "C'entra, c'entra, aspetta. Tornando al meme culturale: mio padre era un ateocomunista sardo. Usava prevalentemente la stessa bestemmia, ma riusciva a declinarla in decine di sfumature diverse, ognuna adeguata alla situazione: tuo figlio (io, sì) dà fuoco per sbaglio al contenitore della carta riciclata, roba che i pompieri ci hanno dovuto lavorare per una mezz'ora? Bestemmia soffiata, rassegnata, a spalle (e palle) cascanti. Significato: mio figlio è un idiota, e io non ci posso fare niente. Il Torres perde in casa col Casarano, dicendo addio ad ogni speranza di poter abbandonare la serie C2? Bestemmia da disillusione. Mormorata. Significato: ci ho sperato, ci ho voluto credere, ed è andata male, uffa. Sono un po' triste. Ti tiri una martellata sul dito? Bestemmia soffocata, ansimante, recriminante. Significato: ma perchéccazzo non sono stato più attento? Fa malissimo ed è tutta colpa mia, e non posso prendermela con nessun altro se non con  me stesso, perché sono stato io ad essermi tirato una martellata sul dito DA SOLO, bestemmia bestemmia bestemmia. Riconosci? Hai appena visto la mia versione della bestemmia da martellata sul dito, e credo che mio padre non l'avrebbe fatta in maniera molto diversa. Ecco, le bestemmie di mio padre sono, per me, un meme culturale. Esprimono una condizione, una emozione. Emergono da sole quando il contesto le richiede, e hanno un significato che è completamente disancorato da quello che letteralmente significano. Quando bestemmio non sto pensando che dio esiste davvero e che somiglia ad un suino: quando tu dai del figlio di puttana a qualcuno non stai davvero sostenendo che la sua mamma è una meretrice, no? Quel che significa quel "figlio di puttana" dipende dal contesto. Magari è uno che ha appena fatto un gol spettacolare fregando mezza difesa avversaria e palleggiando di spalla prima di chiudere in rovesciata e infilarla nel sette. E in quel caso il tuo "figlio di puttana" avrebbe un tono incredulo e ammirato. O magari è uno che ha impiccato il tuo cane e poi ne ha abusato sessualmente in diretta internette: figlio di puttana lo stesso, ma significato completamente diverso, ok? Le imprecazioni sono cultura. Le bestemmie sono cultura. Sono frasi idiomatiche che esprimono una larga gamma di sentimenti, emozioni e stati d'animo, e vi ricorriamo automaticamente, perché fanno parte della nostra programmazione di base. Si sta alla larga dai serpenti, non si gioca vicino ai burroni, e dioporco mi sono tirato una martellata sul dito, chiaro?"


"Tu sei il diavolo", mi ha detto lui.

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