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mercoledì 6 aprile 2016

La Piramide (the 99%) - [post di assoluti cazzi miei]

Come dice il titolo qui sopra, questo è un post di assoluti cazzi miei. Sono possibili (anzi, direi plausibili) divagazioni apparentemente prive di senso, ma di fondo tutto gira attorno ad un fatto di cronaca (a riguardo del quale forse più sotto mi ricorderò di mettere un link. Forse.) e ad una canzone, scritta un annetto fa, che abbiamo finito di registrare in questi giorni (io mi sono occupato, nell'ordine, di cercare una melodia cantata che poggiasse sul pezzo di chitarra che Andre aveva registrato e inviato al gruppo, scriverci sopra un testo che cercasse di avere un significato, e smarmellare la mia Tele a panno di daino durante le prove e i concerti. Ho specificato "durante le prove e i concerti" perché lì Andre non può suonare tutte e due le chitarre, non ha mica quattro braccia. Quando si registra però non ci sono limiti, e infatti ha inciso tipo ventordici tracce di chitarra, e abbiamo dovuto picchiarlo per farlo smettere.

Scherzo. Ci pesterebbe tutti e tre, credo.

Comunque. La canzone, appunto, si intitola "La Piramide (the 99%)", e il testo cerca di dire che non c'è niente da fare, signori: quella della piramide è la struttura che caratterizza e ha caratterizzato praticamente ogni società umana, da sempre. C'erano i servi della gleba, che lavoravano in cambio della mera sussistenza? Oggi abbiamo gli schiavi del mercato, i lavoratori poveri, che lavorano per la mera sussistenza. C'erano gli imperatori e i vassalli? Oggi ci sono i grandi del mercato. E abbiamo le leggi, del mercato. Il che spiega la presenza degli schiavi, del mercato. E spiega la presenza di un piccolo, splendente 1% apicale che regna sempre. Che ci sia guerra o che ci sia pace, che ci sia prosperità o che ci sia carestia, che si viva in una società tecnologica o che si viva in una società arcaica, quell'1% possiede sempre una fetta impressionante del tutto, quale che sia il valore che si attribuisce a quel "tutto".

E noi, il 99?
Noi facciamo quello che è proprio della nostra razza. Quello che da sempre ha caratterizzato ogni impero: lavoriamo per la piramide, dentro la piramide, e non la vediamo nemmeno.

Con tutto il coraggio che abbiamo
con tutta la forza che abbiamo
con tutte le cose stupende
che forse un domani faremo
Con tutto il coraggio che abbiamo
restiamo in disparte a guardare
che non ce ne importa, c'è il mutuo, c'è il pane
c'è da lavorare
c'è da guadagnare
c'è molto da fare.

Il tutto rock, con influenze reggae nella prima parte. E un bridge (il testo è quello qui sopra) che mi piace moltissimo.

Ecco. Mi piace moltissimo.

La buona notizia è che a quasi 39 anni ho ancora voglia di scrivere canzoni, di tirarmi fuori di casa e fare le prove sino a mezzanotte, tornare a casa almeno all'una e, Anubi Marcio, prendere con filosofia il fatto che il giorno dopo la sveglia suonerà alle cinque e mezza del mattino.
La cattiva è che, se a vent'anni non riuscivo a scrivere canzoni che non fossero intrise di pessimismo post adolescenziale, a quasi 39 non riesco a scrivere canzoni che non siano intrise della disperata disillusione dell'adulto.

Scherzo. Non ho mai smesso di scrivere minchiate, ma quelle sono un'altra cosa. Cantare

"Ho i genitali penduli
Lo so che sono splendidi
Ed anche molto erotici:
Li ha progettati Iddio, li disegnò proprio così.

Ma pur essendo splendidi
I genitali penduli
han la tendenza a pendere
e quel che pende prende dentro, e Dio vuole così"

va bene ad ogni età. La canzone si intitola "Genitali Penduli", e mi fu inspirata da un incidente occorsomi quattro anni fa mentre cercavo di usare un lavandino per lavarmi il culo (barbari, quei popoli che misconoscono il sacro rituale della lavata di culo post defecazione). Voglio dire, ero già un disilluso trentacinquenne, ma lo spazio per le minchiate l'ho sempre avuto.

Tipo:

"Io ti amo e non lo nego
non potrei farti del male
ma ora spogliati, ti prego, o comincio a urlare
e a gridare",

seguita dal magnifico ritornello

"E allora mettila sul sesso
ora donami un amplesso
poi ritornerò di nuovo
dolce e buono come sono".

Ecco, questa l'ho scritta a diciotto anni. Ma è un evergreen. Va bene ad ogni età. A diciotto anni ero intimamente convinto di essere uno sfigato di proporzioni indicibili. Ma avevo spazio per le minchiate, e il testo qui sopra lo dimostra direi egregiamente. Non mi ero ancora accorto che il mondo fosse pieno di esseri umani di sesso femminile disposte a scoparmi, ed ero segretamente convinto che sarei morto vergine, frustrato da limoni infiniti che non arrivavano mai al Tanto Agognato Pompino. Poi ho fatto l'animatore in un villaggio turistico, e ho fornicato più in quei quattro mesi che in qualsiasi altro periodo della mia vita. Per quanto prediligessi le coetanee (che però potevano mandarti in bianco), scoprii presto che belle e simpatiche signore in vacanza col bimbo e col marito in città (cioè navi scuola dalla notevole esperienza e con una voglia di carne fresca da far spavento) potevano regalare ricordi (tuttora, un paio di volte ho creduto di morire) indelebili. Ma a quel punto la canzone (che è ovviamente demenziale, e che contiene perle tipo "non lo senti tu il richiamo? E' normale, essere umano... ano ... ano") era stata scritta, e lì è rimasta. Per fortuna non la conosce nessuno, perché un po' me ne vergogno anche.

Tornando a La Piramide: dicevo, l'abbiamo finita di registrare in questi giorni. Dato che l'ultima volta abbiamo bruciato quattro ore di sala prove (nel pomeriggio ho cominciato a starnutire. Voce nasale, registrazione inascoltabile) abbiamo rifatto le voci a casa mia, giù nella stanzamarcia-tavernetta dalla quale scrivo. Ho urlato un po', ma i vicini non si sono lamentati. Non ancora, quantomeno.
Tra un paio di mesi, quando Andre avrà finito di smanettarci, tornando su questa pagina dovreste persino riuscire ad ascoltarla.

Ah. Il fatto di cronaca, che tira in ballo qualche membro di quell'1%: da Repubblica e da Il Fatto.

Fine divagazione.