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mercoledì 31 luglio 2019

La bomba.

"Ciao".
"Ciao".
"Missione?"
Lei guarda da sotto gli occhiali, mette a fuoco. "603", dice. 
Seleziono. Apro la scheda. Inserisco i dati del tizio, lo ricerco in anagrafica, lo trovo. Lo seleziono. 
"Cos'è successo?"
"Dolore addominale. Da due ore, circa", mi dice la soccorritrice.
"Parametri?"
"Normali", dice, e me li indica con la penna sul modulo di missione. Un filo iperteso, quasi tachicardico, ma ci sta, col dolore. Satura bene. Il respiro è un po' rapido, cosa che ci sta col dolore, la meccanica è buona. Guardo le caviglie asciutte spuntare da sotto un paio di pantaloni grigi: asciutte, direi non segni di scompenso. 
"Signor Scali, 'giorno, sono l'infermiere di triage. Ha avuto febbre, diarrea, nausea, vomito..."
"No".
"Alvo regolare?", chiedo, e quello mi guarda sperduto. "D'intestino va regolarmente?"
"Ah, sì, sì", fa lui. E' sudato. La fronte imperlata di goccioline. Goccioline sulle braccia, sulle guance. Lo tocco: la cute è tiepida. Perché suda? Dolore? Ha sfebbrato? Gli provo la temperatura: 36.6. "Ha preso qualcosa per il dolore da poco? La tachipirina, un voltaren, un brufen...". Siamo in Italia, gente. Se non usi il nome commerciale il malato non ti capisce: siamo affezionati, alle marche.
"No".
Quindi non sta sudando perché ha sfebbrato dopo aver preso del paracetamolo o un antinfiammatorio.
"Sicuro di non aver avuto febbre? Ha avuto brividi e freddo, e dopo ha cominciato ad avere caldo e a sudare?"
"No, non me la sono sentita salire, la febbre. Di solito quando sale me la sento", fa lui.
"Il dolore come va?"
"Un po' meno di prima", mi dice lui, ma la faccia è comunque contratta. Ha ancora, dolore. Forte. "Quanto, da zero a dieci?"
"Prima dieci. Adesso boh, otto, sette".
"Il dolore è fisso o cambia con il respiro, col movimento..."
"Fisso. Tipo una coltellata".
"Soffre di stomaco? Ha spesso acidità?"
"No, no".
"Non prende farmaci per lo stomaco?"
"No".
"Mi fa vedere la pancia?"
Lo aiuto ad aprire la camicia, a sollevare la maglia, che è umida di sudore. Indossa dei pantaloni quasi ascellari, quindi gli chiedo di slacciare la cintura e di abbassarli. 
Palpo in fossa iliaca destra. Non sembra la pancia di uno che ha un addome acuto. Palpabile anche in fossa iliaca sinistra.  Forse la vescica? Mi ci sposto sopra. Niente globo.  
"Pipì ne ha fatta?"
"Sì, normale".
"Quando l'ultima volta?"
"Poco prima che arrivasse l'ambulanza, mi ha aiutato ad andare in bagno mia moglie. Era normale". 
"Ha la sensazione di dover fare ancora pipì?"
"No".
"Ha sentito bruciore nel farla, l'ultima volta?"
"No".
E anche l'ipotesi cistite me la sono giocata.
"Riesce a mettersi seduto?"
Si mette seduto. Colica renale? Boh. Faccio la manovra del Giordano: negativa, bilateralmente. Non è una colica renale: il malato non ha urlato.

Ah, il dubbio. Così com'è è un giallo stiracchiato, giustificato solo dal dolore. Ne abbiamo sette in attesa, di gialli. E poi otto codici azzurri, e quattordici codici verdi, ma amen, insomma. Nella migliore delle ipotesi, se lo valuto come giallo, questo me lo visitano tra un paio d'ore. Almeno, un paio d'ore. E a me un po' puzza, non voglio aspettare due ore. Puzza. 
Quasi quasi me la gioco.

"Il dolore lo sente anche dietro, alla schiena"?
"Sì", fa lui."Qui", dice sollevandosi sulla barella e toccandosi al centro della schiena.

Inspiro. Mi gratto il mento. Io la carta me la gioco, sì. Stavolta sì. In mezzo ad un mare di dolori addominali da stipsi, da diarrea, da appendicite, da cistite, da enterite, da colecistite, da pancreatite, da globo vescicale eccetera, si nasconde uno dei peggiori incubi del triagista. La bomba ad orologeria. Quella che se non ti accorgi che c'è e che sta ticchettando, il malato muore, e tu sei fottuto.
Quella che non osi giocarti anche se un filo di dubbio l'hai, cazzo se l'hai, perché non si possono dare codici rossi a cazzo di cane, e questo è un rosso che mette in moto un casino, se ci ho preso.  

Gli poggio le mani in ipogastrio, premo sull'addome voluminoso. Mi sposto pian piano verso l'ombelico. E a quel punto lo sento, il bastardo. 
Lo sento pulsare. 
E io, signori, mi gioco la carta dell'aneurisma dell'aorta addominale. E se non ci ho preso mi toccherà cospargermi il capo di cenere e subire gli sfottò di tutti i medici e di tutti gli infermieri di tutto questo maledetto pronto soccorso. 
"Rosso", dico a quelli dell'ambulanza. "In sala urgenze". Quelli mi guardano, un po' stupiti, e portano dentro il malato.
Torno alla postazione per chiudere il triage. 
Rosso.
"dolore addominale intenso insorto improvvisamente, irradiato posteriormente, attutitosi dopo l'esordio, ma che rimane elevato. Massa pulsante in meso-ipogastrio. Si trasporta in sala urgenze". Salvo. Stampo il braccialetto identificativo. Lo metto al braccio del malato a barella ancora in movimento, mentre i miei colleghi intorno accendono i monitor.
"Cos'è?", mi chiede il medico.
"Massa pulsante in addome. Mi sa che è un aneurisma dell'aorta addominale che sta andando" dico facendo esplodere le mani davanti a me in una pessima imitazione di fuoco d'artificio. Ecco, l'ho detto.

Torno in triage.

A valutare una signora che "sente le scosse" alle braccia da mesi, durante i quali non è andata dal proprio curante e non ha pensato di farsi valutare da qualche specialista. Oggi è venuta in PS perché l'ha convinta la figlia, dato che lei continuava a lamentarsi per le "scosse".

A spiegare a quello col taglio sul dito che chiedere ripetutamente quando toccherà a lui non serve a nulla se non a farmi perdere tempo, perché io non so dargli una risposta diversa da quella che gli do sempre, e cioè che il suo è un codice verde, e che verrà visitato dopo i codici rossi, gialli e azzurri. Quanti sono lo può vedere da sé sui monitor in sala d'aspetto.

A spiegare a quello con la cisti sulla coscia che mi dispiace, che lo so che è invalido, anziano e cardiopatico, motivi per i quali gli è già stato attribuito un codice prioritario - quello azzurro - che è sostanzialmente un codice verde che va visitato prima degli altri codici verdi. Prima i fragili, insomma: bambini sotto i quattordici anni, anziani sopra gli ottanta, disabili, malati psichiatrici o oncologici. Che mi dispiace, ma di più non posso fare, perché il codice successivo sarebbe il giallo, e quello è riservato a chi ha un rischio evolutivo che può mettere in pericolo la vita della persona, e che lui non sta rischiando la vita, nemmeno potenzialmente.

A spiegare a quello che ha la "sensazione di avere qualcosa nell'occhio" da due giorni che l'oculista c'è sino alle 16:00, che ormai sono le 18:00 e che quindi non c'è, che verrà comunque valutato dal medico del pronto soccorso, e al limite rivalutato domani dall'oculista, che abbiamo molti malati in attesa, ci sono delle urgenze in corso e ci sarà molto da aspettare.
"Cioè, mi vuoi dire che non c'è un oculista in ospedale?"
"No, dopo le 16.00 no, non come pronto soccorso oculistico".
"E se uno viene con una cosa grave".
"C'è l'oculista reperibile: lo chiamiamo a casa, lui arriva entro mezz'ora".
"E allora chiamalo!"
"Non posso, il suo non è un problema grave".
Insulti.

A sentirmi dire che siamo vergognosi. Da uno che ha la diarrea. E che viene in PS per quello.
"Ha provato a prendere un imodium?" 
Lo vedo dalla faccia che fa, che non ha provato. 
"Sono contro l'uso dei medicinali".
Oh, meraviglioso, il medico ti guarirà usando l'imposizione delle mani, amico. 
"Quante scariche ha avuto?"
"Sei-sette".
"Quando, la prima?"
"Due giorni fa".
"E' andato dal suo medico curante?"
Mi guarda: "No, quello è un cretino".
"E lei cambi medico, allora".
Non dice niente. "Mi fa vedere la lingua?" Esegue. Mucose idratate. Non segni di disidratazione.
"Ha avuto nausea? Vomito?"
"No".
"Febbre?"
"No".
Codice bianco, tendente al trasparente.
Verrà visitato dopo i codici rossi, gialli, azzurri, verdi. Trenta persone in attesa. Quanto tempo? Non lo so. Ore, temo un bel po' di ore. 
"Ma non mi può far visitare subito da un gastroenterologo?". Lo dice mischiando le ti e le erre in maniera creativa, ma trasudante sicurezza: il mio sopracciglio destro scatta verso l'alto in automatico, nell'istante in cui riconosco nel tizio con la diarrea un esemplare di "bestia informata (male) da Google".
Gastroenterologo: il risultato che Google fornisce quando digiti "il dottore della pancia", credo. *
"No", dico, "sarà il medico del pronto soccorso che la visiterà, a decidere se è il caso di chiedere la valutazione dello specialista".
"Quindi devo aspettare ore".
"Sì, mi spiace".
"E se mentre aspetto arrivano altri..."
"Altri codici bianchi verranno visitati dopo di lei, tutti gli altri avranno la priorità e saranno visitati prima di lei".
"Siete vergognosi", dice.

Intanto quello con l'aneurisma dell'aorta addominale lo stanno trasportando in sala operatoria: Doc gli ha fatto un'ecografia al volo. L'aneurisma c'è. E' fissurato, per ora tamponato, ed è da operare immediatamente, prima che esploda uccidendo il malato. 

Così riesco a non incazzarmi, e a farmi scivolare addosso gli insulti di un paio di cretini: abbiamo intercettato la bomba prima che esplodesse, e per oggi tanto mi basta.

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* Oh, sono andato a controllare: il terzo risultato calza a pennello. 



sabato 25 maggio 2019

Quelli che ti ri-ri-chiedono l'amicizia.

Il mio lavoro comporta l'entrare in contatto ogni giorno con un sacco di persone: medici, infermieri, tecnici, soccorritori, volontari, malati, parenti dei malati. Ogni tanto capita che una delle persone con cui ho a che fare nella vita reale mi chieda l'amicizia su FB, e anche se non si tratta di conoscenze approfondite io in genere accetto: buona parte dei miei "amici" non sono persone che conosco nella vita reale, sono persone che per qualche motivo trovo interessanti (perché sono dei liutai, perché scrivono cose interessanti, perché son fighe. No, quest'ultima no. Giuro).
Quindi concedo l'amicizia, mi faccio un giro sul profilo del nuovo amico, e qualche volta sogghigno. Sogghigno molto quando nella bacheca del nuovo amico compaiono padripii e madonne, sogghigno più amaramente quando la pagina è infarcita di fasciorazzismo-nazionalsciovinista. Ma comunque sogghigno. Perché io mica mi autocensuro, e sono abituato a scrivere senza porre filtri, se non forse al turpiloquio eccessivamente immotivato. Dio Anubi.
Mi capita di scrivere cose anticlericali, e di offendere incidentalmente la sensibilità cristiana di qualcuno. E quello mi leva l'amicizia. Non è un problema mia se lui crede alle favole, ma sorvoliamo.
Mi capita di scrivere cose anti fasciorazziste-nazionalscioviniste, e capita che qualcuno proprio non riesca a tollerare la cosa. Così mi leva l'amicizia. Non è colpa mia se lui è il nostalgico sostenitore di una montagna di odio e merda, ma sorvoliamo.
Tanto io in genere non me ne accorgo nemmeno, sia chiaro. E non è che me ne importi granché.
Mi accorgo di essere stato eliminato dalla lista degli amici di qualcuno solo quando quel qualcuno mi ri-chiede l'amicizia.
Eccheccazzo, penso, ma non eravamo già amici? Pensavi ti fossi simpatico, poi hai deciso che ti stavo sui coglioni, ora mi trovi di nuovo simpatico? Cazzi tuoi, amico.
Sogghigno, e riconcedo l'amicizia.
E continuo a scrivere senza filtri. Mica lo faccio apposta per loro, sia chiaro. Lo faccio. Da sempre.
Prima o poi riscrivo qualcosa che ai tizi non va bene, e quindi mi ricancellano dalle amicizie.
E io non me ne accorgo, davvero.
Quando me ne accorgo? Esatto: quando mi ri-ri-chiedono l'amicizia.
Quindi siamo al punto in cui il tizio pensava gli fossi simpatico, poi ha deciso che gli stavo sui coglioni, quindi ha ricominciato a trovarmi simpatico, ma ha nuovamente deciso che gli stavo sui coglioni, per concludere infine che non sono poi così male, e che in fondo vale la pena avermi tra gli amici.

A quel punto sogghigno, e col cazzo che concedo l'amicizia.
Li tengo per sempre lì, tra i richiedenti.
Per ricordarmi, quando li incontro nella vita reale, che ho a che fare con dei veri, verissimi cretini.


lunedì 7 gennaio 2019

Qualcuno era grillino.

Qualcuno era grillino per frustrazione.




(Adattamento - o parodia, a seconda di come lo si voglia vedere - di "Qualcuno era comunista" di Gaber - Luporini).