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mercoledì 31 luglio 2019

La bomba.

"Ciao".
"Ciao".
"Missione?"
Lei guarda da sotto gli occhiali, mette a fuoco. "603", dice. 
Seleziono. Apro la scheda. Inserisco i dati del tizio, lo ricerco in anagrafica, lo trovo. Lo seleziono. 
"Cos'è successo?"
"Dolore addominale. Da due ore, circa", mi dice la soccorritrice.
"Parametri?"
"Normali", dice, e me li indica con la penna sul modulo di missione. Un filo iperteso, quasi tachicardico, ma ci sta, col dolore. Satura bene. Il respiro è un po' rapido, cosa che ci sta col dolore, la meccanica è buona. Guardo le caviglie asciutte spuntare da sotto un paio di pantaloni grigi: asciutte, direi non segni di scompenso. 
"Signor Scali, 'giorno, sono l'infermiere di triage. Ha avuto febbre, diarrea, nausea, vomito..."
"No".
"Alvo regolare?", chiedo, e quello mi guarda sperduto. "D'intestino va regolarmente?"
"Ah, sì, sì", fa lui. E' sudato. La fronte imperlata di goccioline. Goccioline sulle braccia, sulle guance. Lo tocco: la cute è tiepida. Perché suda? Dolore? Ha sfebbrato? Gli provo la temperatura: 36.6. "Ha preso qualcosa per il dolore da poco? La tachipirina, un voltaren, un brufen...". Siamo in Italia, gente. Se non usi il nome commerciale il malato non ti capisce: siamo affezionati, alle marche.
"No".
Quindi non sta sudando perché ha sfebbrato dopo aver preso del paracetamolo o un antinfiammatorio.
"Sicuro di non aver avuto febbre? Ha avuto brividi e freddo, e dopo ha cominciato ad avere caldo e a sudare?"
"No, non me la sono sentita salire, la febbre. Di solito quando sale me la sento", fa lui.
"Il dolore come va?"
"Un po' meno di prima", mi dice lui, ma la faccia è comunque contratta. Ha ancora, dolore. Forte. "Quanto, da zero a dieci?"
"Prima dieci. Adesso boh, otto, sette".
"Il dolore è fisso o cambia con il respiro, col movimento..."
"Fisso. Tipo una coltellata".
"Soffre di stomaco? Ha spesso acidità?"
"No, no".
"Non prende farmaci per lo stomaco?"
"No".
"Mi fa vedere la pancia?"
Lo aiuto ad aprire la camicia, a sollevare la maglia, che è umida di sudore. Indossa dei pantaloni quasi ascellari, quindi gli chiedo di slacciare la cintura e di abbassarli. 
Palpo in fossa iliaca destra. Non sembra la pancia di uno che ha un addome acuto. Palpabile anche in fossa iliaca sinistra.  Forse la vescica? Mi ci sposto sopra. Niente globo.  
"Pipì ne ha fatta?"
"Sì, normale".
"Quando l'ultima volta?"
"Poco prima che arrivasse l'ambulanza, mi ha aiutato ad andare in bagno mia moglie. Era normale". 
"Ha la sensazione di dover fare ancora pipì?"
"No".
"Ha sentito bruciore nel farla, l'ultima volta?"
"No".
E anche l'ipotesi cistite me la sono giocata.
"Riesce a mettersi seduto?"
Si mette seduto. Colica renale? Boh. Faccio la manovra del Giordano: negativa, bilateralmente. Non è una colica renale: il malato non ha urlato.

Ah, il dubbio. Così com'è è un giallo stiracchiato, giustificato solo dal dolore. Ne abbiamo sette in attesa, di gialli. E poi otto codici azzurri, e quattordici codici verdi, ma amen, insomma. Nella migliore delle ipotesi, se lo valuto come giallo, questo me lo visitano tra un paio d'ore. Almeno, un paio d'ore. E a me un po' puzza, non voglio aspettare due ore. Puzza. 
Quasi quasi me la gioco.

"Il dolore lo sente anche dietro, alla schiena"?
"Sì", fa lui."Qui", dice sollevandosi sulla barella e toccandosi al centro della schiena.

Inspiro. Mi gratto il mento. Io la carta me la gioco, sì. Stavolta sì. In mezzo ad un mare di dolori addominali da stipsi, da diarrea, da appendicite, da cistite, da enterite, da colecistite, da pancreatite, da globo vescicale eccetera, si nasconde uno dei peggiori incubi del triagista. La bomba ad orologeria. Quella che se non ti accorgi che c'è e che sta ticchettando, il malato muore, e tu sei fottuto.
Quella che non osi giocarti anche se un filo di dubbio l'hai, cazzo se l'hai, perché non si possono dare codici rossi a cazzo di cane, e questo è un rosso che mette in moto un casino, se ci ho preso.  

Gli poggio le mani in ipogastrio, premo sull'addome voluminoso. Mi sposto pian piano verso l'ombelico. E a quel punto lo sento, il bastardo. 
Lo sento pulsare. 
E io, signori, mi gioco la carta dell'aneurisma dell'aorta addominale. E se non ci ho preso mi toccherà cospargermi il capo di cenere e subire gli sfottò di tutti i medici e di tutti gli infermieri di tutto questo maledetto pronto soccorso. 
"Rosso", dico a quelli dell'ambulanza. "In sala urgenze". Quelli mi guardano, un po' stupiti, e portano dentro il malato.
Torno alla postazione per chiudere il triage. 
Rosso.
"dolore addominale intenso insorto improvvisamente, irradiato posteriormente, attutitosi dopo l'esordio, ma che rimane elevato. Massa pulsante in meso-ipogastrio. Si trasporta in sala urgenze". Salvo. Stampo il braccialetto identificativo. Lo metto al braccio del malato a barella ancora in movimento, mentre i miei colleghi intorno accendono i monitor.
"Cos'è?", mi chiede il medico.
"Massa pulsante in addome. Mi sa che è un aneurisma dell'aorta addominale che sta andando" dico facendo esplodere le mani davanti a me in una pessima imitazione di fuoco d'artificio. Ecco, l'ho detto.

Torno in triage.

A valutare una signora che "sente le scosse" alle braccia da mesi, durante i quali non è andata dal proprio curante e non ha pensato di farsi valutare da qualche specialista. Oggi è venuta in PS perché l'ha convinta la figlia, dato che lei continuava a lamentarsi per le "scosse".

A spiegare a quello col taglio sul dito che chiedere ripetutamente quando toccherà a lui non serve a nulla se non a farmi perdere tempo, perché io non so dargli una risposta diversa da quella che gli do sempre, e cioè che il suo è un codice verde, e che verrà visitato dopo i codici rossi, gialli e azzurri. Quanti sono lo può vedere da sé sui monitor in sala d'aspetto.

A spiegare a quello con la cisti sulla coscia che mi dispiace, che lo so che è invalido, anziano e cardiopatico, motivi per i quali gli è già stato attribuito un codice prioritario - quello azzurro - che è sostanzialmente un codice verde che va visitato prima degli altri codici verdi. Prima i fragili, insomma: bambini sotto i quattordici anni, anziani sopra gli ottanta, disabili, malati psichiatrici o oncologici. Che mi dispiace, ma di più non posso fare, perché il codice successivo sarebbe il giallo, e quello è riservato a chi ha un rischio evolutivo che può mettere in pericolo la vita della persona, e che lui non sta rischiando la vita, nemmeno potenzialmente.

A spiegare a quello che ha la "sensazione di avere qualcosa nell'occhio" da due giorni che l'oculista c'è sino alle 16:00, che ormai sono le 18:00 e che quindi non c'è, che verrà comunque valutato dal medico del pronto soccorso, e al limite rivalutato domani dall'oculista, che abbiamo molti malati in attesa, ci sono delle urgenze in corso e ci sarà molto da aspettare.
"Cioè, mi vuoi dire che non c'è un oculista in ospedale?"
"No, dopo le 16.00 no, non come pronto soccorso oculistico".
"E se uno viene con una cosa grave".
"C'è l'oculista reperibile: lo chiamiamo a casa, lui arriva entro mezz'ora".
"E allora chiamalo!"
"Non posso, il suo non è un problema grave".
Insulti.

A sentirmi dire che siamo vergognosi. Da uno che ha la diarrea. E che viene in PS per quello.
"Ha provato a prendere un imodium?" 
Lo vedo dalla faccia che fa, che non ha provato. 
"Sono contro l'uso dei medicinali".
Oh, meraviglioso, il medico ti guarirà usando l'imposizione delle mani, amico. 
"Quante scariche ha avuto?"
"Sei-sette".
"Quando, la prima?"
"Due giorni fa".
"E' andato dal suo medico curante?"
Mi guarda: "No, quello è un cretino".
"E lei cambi medico, allora".
Non dice niente. "Mi fa vedere la lingua?" Esegue. Mucose idratate. Non segni di disidratazione.
"Ha avuto nausea? Vomito?"
"No".
"Febbre?"
"No".
Codice bianco, tendente al trasparente.
Verrà visitato dopo i codici rossi, gialli, azzurri, verdi. Trenta persone in attesa. Quanto tempo? Non lo so. Ore, temo un bel po' di ore. 
"Ma non mi può far visitare subito da un gastroenterologo?". Lo dice mischiando le ti e le erre in maniera creativa, ma trasudante sicurezza: il mio sopracciglio destro scatta verso l'alto in automatico, nell'istante in cui riconosco nel tizio con la diarrea un esemplare di "bestia informata (male) da Google".
Gastroenterologo: il risultato che Google fornisce quando digiti "il dottore della pancia", credo. *
"No", dico, "sarà il medico del pronto soccorso che la visiterà, a decidere se è il caso di chiedere la valutazione dello specialista".
"Quindi devo aspettare ore".
"Sì, mi spiace".
"E se mentre aspetto arrivano altri..."
"Altri codici bianchi verranno visitati dopo di lei, tutti gli altri avranno la priorità e saranno visitati prima di lei".
"Siete vergognosi", dice.

Intanto quello con l'aneurisma dell'aorta addominale lo stanno trasportando in sala operatoria: Doc gli ha fatto un'ecografia al volo. L'aneurisma c'è. E' fissurato, per ora tamponato, ed è da operare immediatamente, prima che esploda uccidendo il malato. 

Così riesco a non incazzarmi, e a farmi scivolare addosso gli insulti di un paio di cretini: abbiamo intercettato la bomba prima che esplodesse, e per oggi tanto mi basta.

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* Oh, sono andato a controllare: il terzo risultato calza a pennello. 



sabato 25 maggio 2019

Quelli che ti ri-ri-chiedono l'amicizia.

Il mio lavoro comporta l'entrare in contatto ogni giorno con un sacco di persone: medici, infermieri, tecnici, soccorritori, volontari, malati, parenti dei malati. Ogni tanto capita che una delle persone con cui ho a che fare nella vita reale mi chieda l'amicizia su FB, e anche se non si tratta di conoscenze approfondite io in genere accetto: buona parte dei miei "amici" non sono persone che conosco nella vita reale, sono persone che per qualche motivo trovo interessanti (perché sono dei liutai, perché scrivono cose interessanti, perché son fighe. No, quest'ultima no. Giuro).
Quindi concedo l'amicizia, mi faccio un giro sul profilo del nuovo amico, e qualche volta sogghigno. Sogghigno molto quando nella bacheca del nuovo amico compaiono padripii e madonne, sogghigno più amaramente quando la pagina è infarcita di fasciorazzismo-nazionalsciovinista. Ma comunque sogghigno. Perché io mica mi autocensuro, e sono abituato a scrivere senza porre filtri, se non forse al turpiloquio eccessivamente immotivato. Dio Anubi.
Mi capita di scrivere cose anticlericali, e di offendere incidentalmente la sensibilità cristiana di qualcuno. E quello mi leva l'amicizia. Non è un problema mia se lui crede alle favole, ma sorvoliamo.
Mi capita di scrivere cose anti fasciorazziste-nazionalscioviniste, e capita che qualcuno proprio non riesca a tollerare la cosa. Così mi leva l'amicizia. Non è colpa mia se lui è il nostalgico sostenitore di una montagna di odio e merda, ma sorvoliamo.
Tanto io in genere non me ne accorgo nemmeno, sia chiaro. E non è che me ne importi granché.
Mi accorgo di essere stato eliminato dalla lista degli amici di qualcuno solo quando quel qualcuno mi ri-chiede l'amicizia.
Eccheccazzo, penso, ma non eravamo già amici? Pensavi ti fossi simpatico, poi hai deciso che ti stavo sui coglioni, ora mi trovi di nuovo simpatico? Cazzi tuoi, amico.
Sogghigno, e riconcedo l'amicizia.
E continuo a scrivere senza filtri. Mica lo faccio apposta per loro, sia chiaro. Lo faccio. Da sempre.
Prima o poi riscrivo qualcosa che ai tizi non va bene, e quindi mi ricancellano dalle amicizie.
E io non me ne accorgo, davvero.
Quando me ne accorgo? Esatto: quando mi ri-ri-chiedono l'amicizia.
Quindi siamo al punto in cui il tizio pensava gli fossi simpatico, poi ha deciso che gli stavo sui coglioni, quindi ha ricominciato a trovarmi simpatico, ma ha nuovamente deciso che gli stavo sui coglioni, per concludere infine che non sono poi così male, e che in fondo vale la pena avermi tra gli amici.

A quel punto sogghigno, e col cazzo che concedo l'amicizia.
Li tengo per sempre lì, tra i richiedenti.
Per ricordarmi, quando li incontro nella vita reale, che ho a che fare con dei veri, verissimi cretini.


lunedì 7 gennaio 2019

Qualcuno era grillino.

Qualcuno era grillino per frustrazione.




(Adattamento - o parodia, a seconda di come lo si voglia vedere - di "Qualcuno era comunista" di Gaber - Luporini). 

giovedì 15 novembre 2018

Il codice colore.



Il triagista si affaccia dalla sala visite del triage con un ECG in mano. Davanti al bancone del triage, alle sue spalle, c'è una doppia fila di persone in attesa di essere triaggiate. Tutte le barelle in sala d'attesa sono occupate. Gli equipaggi di tre ambulanze di volontari, con e senza virgolette, aspettano di poter liberare le proprie barelle. 29 malati in trattamento, dei quali tre entrati in codice rosso e sedici in codice giallo, 36 in attesa. Otto posti letto disponibili in tutto l'ospedale a inizio turno, per metà già andati, su quei quattro rimasti liberi già si fanno ipotesi di appoggi. Tipo il vecchietto con la polmonite appoggiato in ortopedia, per intenderci. I corridoi sono intasati dalle barelle, tutte le sedie a rotelle sono occupate. L'indice di sovraffollamento del Pronto Soccorso, listato in nero, recita "disaster". E' un classico, usuale lunedì pomeriggio. Primo, pomeriggio.
"C'ho un rosso, Doc."
"Adesso si dice codice uno, aggiornati".
"Fregacazzi come si dice, Doc. Blocco totale, viaggia sui trenta.* Sintomatico. Lo porto in sala urgenza".
"Guarda che è piena". Poi si guarda desolatamente attorno, osservando l'assedio sotto al quale si trova il bancone. Solo posti in piedi, tutto esaurito, barelle ovunque, parcheggiate a lisca di pesce o messe in fila nei corridoi.
"Lo so che è un casino", fa il triagista, e si stringe nelle spalle, che non è mica colpa sua se c'è un casino. Lui vole sapere altro: "Puoi tirarne fuori uno dalla sala urgenza? Il più stabile?"
Doc si gratta il mento, guardando lo schermo del computer, poi, sempre con la faccia allo schermo, grida, rivolto apparentemente al nulla: "Paola!"
 "Oh!"
"Com'è che satura quella in CPAP?" **
"98".
"Tirala fuori che c'è un blocco totale".
Un attimo di silenzio dalla sala urgenza. Poi, stridula: "Non ho il posto con l'attacco per la CPAP, fuori!"
"Mettila in bombola!"
Imprecazioni dalla sala urgenza. Alcuni secondi di silenzio, poi altre imprecazioni.
"Ma devo mantenerla monitorizzata!"
"Giulia!"
"Sono in medica!"
"Monitor liberi ne abbiamo?"
"Forse si può staccare il 6, è rientrato in sinusale tre ore fa. ***** Gli metto su un saturimetro per vedere la frequenza e lo stacco."
Il triagista: "Be', io intanto il tizio lo piastro col defi in sala visita in triage. E appena possono prenderlo lo porto dentro, che lì fuori c'è un disastro, c'è. Cazzo, li portano con il pulmino".
"Io chiamo il cardiologo", dice il medico. Intanto scarabocchia la sua firma su di una richiesta di sangue urgente, che il tipo con l'emorragia digestiva è arrivato in PS con cinque grammi e tre di emoglobina, e sta perdendo ancora.***
"Gaglini, ciao, son Rebbi dal PS. Senti, ho qui un blocco totale che ha una frequenza di trenta. Sintomatico. Tu come sei messo su?" Ascolta. Poi sbuffa. "No, vabbe', nel caso il pace maker temporaneo vieni a metterglielo qui e ok, ma io non posso mica tenerlo qui. Questo qui ha bisogno di un posto in UTIC ****, non può mica starmi nella sala urgenza col temporaneo su di una barella fino a domani, dai". Ascolta. Ascolta. Scuote la testa. Sbuffa. Poi ride, acidulo: "Ciao, gli infermieri di su mi - e ti - vorranno morto". Mette giù. Si rivolge ad un altro medico seduto accanto a lui al bancone, un doppio tavolo in legno che mette assieme le sette postazioni pc al centro del PS. Sette postazioni che a volte devono essere usate contemporaneamente da dieci professionisti: chi alza il culo dalla sedia è perduto. E ogni volta che uno si risiede deve rifare l'accesso al sistema usando le proprie credenziali. E a volte qualcuno si dimentica di sloggarsi e qualcuno dimentica di loggarsi, e poi diventa difficile spiegare certe cose al magistrato, ecco. Tre stampanti vomitano referti. Si produce tantissima carta.
"Oh", dice mettendo una mano sul referto che il suo collega sta leggendo, un modo delicato per attirare la sua attenzione: "In UTIC e in Cardioria non hanno posto. In Semintensiva non hanno posto. In Cardiologia non hanno posto. Ma in Cardio Riabilitativa c'è un posto. Gaglini adesso viene qui a vedere il blocco, poi va su e fa spostare in Riabilitativa il paziente messo meglio tra quelli della Cardiologia; fa spostare in Cardiologia quello messo meglio tra quelli della Semintensiva cardio, fa spostare in Semintensiva cardio quello messo meglio tra quelli che ha in UTIC, così ci fa il posto per il blocco".
"Minchia, un trasloco", fa l'altro.
"Eh..."

"STRONZI! PEZZI DI MEEERDAAAH!" La nota, giovane malata psichiatrica, nella sala chirurgica, sta gridando in faccia alla psichiatra, che deve averle detto che la deve ricoverare. Due carabinieri stanno ai lati della tizia, che ha smesso di assumere la terapia e che ha aggredito una vicina di casa, prima di scalfirsi i polsi con la lama di una forbice che non doveva essere stata granché affilata: non aveva avuto nemmeno bisogno di punti. Piccole lesioni. Una disinfettata e via. Meno bene era andata alla vicina di casa aggredita, dato che quella era caduta a terra, aveva battuto la testa, perso i sensi e rilasciato gli sfinteri. Al di là dei graffi in faccia, la tizia si era risvegliata con le mutande appesantite, sì. Quindi si era fatta un giro gratuito in TAC, si era presa tre punti di sutura sulla nuca, qualche ago nelle braccia e un paio di antibiotici e antidolorifici nelle vene.

"NON POTETE TENERMI QUI! NON POTETE!"
Rebbi getta la busta con la richiesta di sangue e la provetta nel cesto delle cose in uscita. Poi urla rivolto apparentemente al nulla: "Giulia, devi firmarmi le richieste di sangue!"
"Sposto quella in CPAP con Paola e arrivo. Tienimi la provetta da parte, che la devo firmare! LONTANO dal cesto delle cose in uscita! Che se mandiamo giù una cosa incompleta ci strappano via la faccia". Rebbi non dice niente, ma recupera la richiesta dal cesto e la mette accanto alla tastiera. Gli OSS****** lo sanno, che non devono prendere i campioni accanto alle tastiere. E' una delle tante regole non scritte che permette ad un casino come questo di funzionare senza fare morti. 
Rebbi grida ancora verso il nulla: "Dove sono gli OSS? Chiara, poi c'è una richiesta di sangue!"
Chiara sbuca da dietro una tenda, in altre faccende occupata: "Cinque minuti. Salvo non c'è?"
"E' andato in TAC a portare una col trauma cranico".
"Finisco qui e vado".

"FIGLIDIPUTTHAAANHAAAAAA!" Due carabinieri, un medico e tre infermieri stanno cercando di tenerla ferma. Non è facile prendere una vena ad una che scalcia, sputa e si dimena sulla barella. "AAAAAAAAAAAAAHHHIAAAAAA!!! BASTARDI DI MERDA!! BASTARDI!"

Un bambino in sala raggi urla, piange sfiorando l'ultrasuono. I bambini che piangono quando si sono fatti male sono una buona cosa, in pronto soccorso. Quelli che si sono fatti male e non piangono, invece, sono una cosa molto meno buona.
Salgono le urla del bimbo, che si è fratturato male, porello, e si spengono quelle che arrivano dalla chirurgica, e tutti sono sollevati, carabinieri compresi: vena incanulata, farmaco somministrato, Morfeo ha preso il controllo, punto. Adesso lei russa. Forte.
Rebbi apre la scheda della malata psichiatrica: 26 accessi. Quasi tutti per azioni dimostrative, cioè più o meno tentati suicidi. Tentati spesso, ma ogni volta appena appena, ecco.
Chi vuole uccidersi si impicca. Si butta da un ponte. Se conosce i farmaci e sa come usarli si programma infallibilmente il decesso. Al limite si chiude in garage e si mette a respirare aria condizionata dalla marmitta del suv acceso, ecco. Chi non vuole uccidersi, chi ha bisogno soltanto di aiuto, invece, fa un'azione dimostrativa. Si scalfisce i polsi. E dice aiutatemi.

Tommasi, neurologo, si appoggia al bancone, pesante nella sua magrezza. Prima la gente pensava che fosse scazzato solo sul lavoro. Poi invece qualcuno ha visto le foto delle sue recenti nozze, e ora può giurare che sembra che il tipo riesca a dare l'impressione dello scazzo totale in qualsiasi contesto.
"Oilà, Tommasi. Vieni qua che ne abbiamo quattro..."
"Cinque", lo interrompe l'altro medico, "ho visto prima una sindrome vertiginosa".
"... ops! Ne abbiamo CINQUE da farti vedere. Io ho due cefalee, una sindrome vertiginosa e una che vede scotomi e ha cefalea e ha già vomitato tre volte nonostante il Levopraid. Ma non parliamo solo di lavoro! Come ti va?"
La risposta di Tommasi è mormorata, e praticamente inudibile a più di tre metri di distanza: "Il mio primario mi rompe il cazzo, i miei colleghi mi rompono il cazzo - e prima o poi ne ucciderò qualcuno, giuro -, gli infermieri mi rompono il cazzo, i malati mi rompono il cazzo, i parenti dei malati - cristosanto!- mi rompono enormemente il cazzo, e mia moglie ultimamente mi rompe il cazzo più di tutti, grazie. Ma per il resto va tutto bene. Tu?"
"A parte il fatto che mi sto disfacendo nella vecchiaia affannandomi a fare questo lavoro da pazzi, attendendo soltanto la mia morte, va tutto bene, sì, grazie. Tie' le cartelle", dice Rebbi, e gli passa i fascicoli. Quello si siede ad una postazione fortuitamente libera e comincia a leggere. Chi l'aveva lasciata momentaneamente libera impreca sottovoce. Ma non dice un cazzo, perché Tommasi ha un carattere di merda, ha. Si inalbera facile.
Giulia arriva al bancone, firma la provetta, fa per firmare la richiesta. "Guarda che non l'hai compilata", dice a Rebbi. Quello scrolla le spalle, alzandosi dalla sedia: "C'è il cardiologo, dai, c'è il blocco totale. Compilala tu".
"Eccazzo però", dice quella, ma la compila. Come sempre. Perché senza quel sangue il malato muore, quindi quel sangue deve essere richiesto. Nel casino salta il rispetto delle regole, ma si mantengono i formalismi del rispetto di quelle regole. Sulla carta, tutto è fatto secondo le regole. La realtà è che il casino ti impone di riuscire a fare nonostante il casino, e a quel punto non importa come ci riesci: ci devi riuscire, e il fine giustifica i bla bla bla. Quando uno sta morendo in sala urgenza, sanguinando da ogni orifizio e da ogni buco, compresi quelli non previsti anatomicamente, tu gli butti dentro una sacca dopo l'altra di zero negativo. Non hai il tempo di fare il doppio controllo. Quello lo si fa dopo. A paziente, si spera, vivo. Serve a poco farlo dopo, il doppio controllo, se non a verificare che non si sia già commesso qualche errore, che in questo caso sarebbe un errore gravissimo. Bisognerebbe farlo prima, il doppio controllo. Ma spesso non si può, non si riesce, non c'è tempo. Uno massaggia, uno aspira farmaci, uno bada alle trasfusioni, l'anestesista fa il suo, le sacche si vuotano a pressione dentro gli spremisacca, e una segue l'altra, son tutte zero negativo, controllerò dopo, qui c'è un tizio che sta morendo, e adesso non c'è tempo. Farlo dopo magari serve solo a rendersi conto che qualcosa è andato storto. Ma lo si fa, ovviamente, magari incrociando le dita, e lo si fa sia perché rendersi conto dell'errore potrebbe comunque essere utile per salvare la pelle al malato, sia perché sulla carta il doppio controllo deve risultare e basta, altrimenti sono cazzi amari.

In sala urgenza il tizio col blocco totale è sudato e affannato. Mormora che gli gira la testa. Poi la frequenza cardiaca crolla, e all'improvviso sono quasi tutti in sala urgenza. Cambia l'atmosfera, in pronto soccorso, quando certi medici e certi infermieri mollano tutto quello che stavano facendo e vanno rapidi in sala urgenze.
Gli altri malati, quelli che non stanno rischiando di morire, si fanno taciturni, pensierosi.
Magari quello caduto in bici che si è lussato la spalla deve fare pipì, ma si rende conto che non è il momento di chiedere.
Magari quella che è arrivata dopo due scariche di diarrea pensa che forse avrebbe potuto buttare giù due Imodium, bere una limonata e starsene a casa sua. Che posto brutto, il pronto soccorso. Che caos. Per forza, poi la gente ci muore.
Qualcuno, magari stupito dal proprio cinismo egoista, pensa che è una scocciatura, quel vecchio che si monopolizza quasi l'intero pronto soccorso, quando a lui fa tanto, tanto, taanto male la schiena. Da tre settimane, ma da ieri di più.

Dentro la sala urgenze, il malato col blocco totale è diventato quasi asistolico. Il suo cuore ha quasi smesso di battere, quindi lo si stimola esternamente, con il defibrillatore e le piastre. Non è piacevole, per il paziente, soprattutto quando riprende coscienza: ogni battito è una scossa. Relativamente piccola, ma comunque una scossa elettrica che ti attraversa il torace e fa contrarre il cuore.
Si sono aperti set sterili, indossati guanti e camici, infilati cateteri. Da un catetere infilato nell'inguine il cardiologo introduce un piccolo catetere con un palloncino in punta. Seguendo il ritorno venoso, la punta col palloncino del piccolo catetere elettrico viene portata dentro il cuore. Lì viene poggiato contro le pareti interne del cuore. E quello comincia a danzare al ritmo impostato dal cardiologo sul dispositivo, che è esterno. Domani gli si potrà impiantare un pace maker, e tra meno di due settimane potrà tornare a giocare a bocce.
Il malato è vivo, parla, e vuole scendere dal letto per sgranchirsi le gambe. Un medico e un infermiere ci mettono dieci minuti a convincerlo che alzarsi in piedi o mettersi seduto è per lui, al momento, potenzialmente mortale. Ma alla fine lo convincono, e rimane sdraiato. Comincia il viavai dei parenti che vogliono vedere il nonno in sala urgenza da resuscitato prima che rimuoia. Al sesto visitatore Paola si impone e caccia tutti. Loro la ringraziano e scivolano via, in sala d'aspetto, parlando tra di loro in un idioma arcaico che, dichiarerà in seguito Salvo, era indubbiamente lingua calabrese.

Rebbi torna al bancone, si siede e comincia a scrivere. Un donnone biondofinto con ricrescita e baffi, dagli occhi glacialmente azzurri, lo fissa con insistenza dall'altra parte del bancone. Lui la ignora. E scrive.
"Scusi, posso chiedere?"
"Dica". Gelido.
"Il 404 quando lo chiamate?"
"Il cognome, signora. Mi dica il cognome, da qui il numero non posso andare ad associarlo ad un paziente."
"Ricciardi. Ma a che serve il numero, allora?"
"Ad avvertire la gente che è il loro turno di essere visitata. Lei perché è entrata, se non è stata chiamata?"
"Aspettiamo da tre ore e ancora non ci avete chiamato".
"Signora, abbiamo avuto delle urgenze. Attenda fuori, per cortesia".
"Dottore, la legge le impone di visitare un paziente col codice tre entro un'ora".
"Io ho passato l'ultima mezz'ora su di un signore cui si era fermato il cuore, faccia lei. Signora, la legge potrebbe anche impormi di costruire una piramide da solo in una settimana, ed io una piramide in una settimana, da solo, non la posso fare, chiaro? Abbiamo codici tre in attesa da sei ore".
"Guardi, siete incommentabili. Siete da denuncia".
"La faccia, signora, la faccia".
"Si vergogni".
"Specchioriflesso".

Rebbi riprende a scrivere al pc, imperturbabile.

La donnona biondofinto si allontana declamando "questo è davvero un pronto soccorso di merda". Rebbi quasi sorride. Sulla soglia della porta che dà sulla sala d'attesa la donna si ferma, in modo che possa essere sentita sia dentro che fuori, e dice che quello è un posto in cui rubano lo stipendio degli incapaci fannulloni e pure maleducati, 'sti stronzi! "Noi siamo tre ore che aspettiamo, e a mio marito l'unghia incarnita fa male, e nessuno fa niente!"

Poi, per fortuna, i parenti del vecchietto resuscitato l'hanno massacrata di botte e sputi.


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Piccolo dizionario del gergo, con inclusi brevi spiegoni:

* "Blocco totale che va a trenta": l'impulso che nasce dall'atrio del cuore, e che propagandosi fa contrarre il ventricolo, non si forma più, o si forma ma non riesce a propagarsi nel ventricolo, perché l'autostrada sulla quale dovrebbe viaggiare si è interrotta. Siccome siamo fatti per sopravvivere, il nostro cuore tenta di reagire come può, e il ventricolo cerca di fare da solo, contraendosi ad una frequenza che però è molto bassa. Di solito lo fa per un po', poi perde costanza e alla fine si ferma. In condizioni naturali, intendo. Perché quando si ha a che fare con Santa Scienza e Santissima Esperienza le cose cambiano, per fortuna.

** CPAP: è un casco di plastica trasparente, a tenuta stagna sul collo, dentro al quale viene creata una determinata pressione positiva pompando al suo interno un flusso continuo (anche oltre 100 litri/minuto) di una miscela di ossigeno ed aria in proporzioni variabili. Quella pressione positiva si trasmette ai polmoni, permettendo di mantenere "aperti" gli alveoli alla fine dell'espirazione, quando fisiologicamente i polmoni dovrebbero essere vuoti, con una pressione interna pari a quella atmosferica. Mantenerli aperti aggiungendo una pressione positiva significa riuscire a "gonfiarli" di aria con uno sforzo inspiratorio minore. Funziona come coi palloncini, avete presente? Cominciare a gonfiarne uno per la prima volta richiede uno sforzo maggiore di quello che si deve fare per continuare a gonfiarlo. Così il malato che ha l'edema polmonare acuto, ed ha i polmoni che sono due spugne bagnate che richiedono uno sforzo inspiratorio importante, non si sfianca, si rilassa e spesso finalmente si addormenta (a volte invece si strappa di dosso il casco, ma insomma. Diciamo che il più delle volte uno si accorge, che prima faceva fatica a respirare e con quel casco in testa invece respira bene). Gli scambi migliorano, e tutti vivono felici e contenti, anche grazie ad antipertensivi e diuretici.


*** Cinque grammi e tre di emoglobina: sotto i quattordici grammi (maschi) o i dodici grammi (femmine) si è anemici. Sotto i sette grammi (sotto i dieci grammi/dL, se il malato è cardiopatico), si trasfonde. Quindi cinque grammi e tre, con un'emorragia in atto, significa aver bisogno di trasfusioni, e abbastanza in fretta.


**** UTIC: Unità di Terapia Intensiva Cardiologica. Un posto che si va a visitare quando si ha un infarto, un'aritmia potenzialmente mortale, un edema polmonare acuto, uno scompenso cardiocircolatorio, una tromboembolia polmonare massiva bilaterale, insomma: un posto che in genere si spera di non dover visitare per la seconda volta.

***** "Rientrato in sinusale": il cuore del malato al letto sei ha ripreso a battere con un ritmo, in soldoni, "normale". Il contesto implicito è quello di una cardioversione farmacologica di una aritmia recentemente insorta (la fibrillazione atriale). Il saturimetro si chiama in realtà pulsosaturimetro, perché dà due informazioni: la saturazione periferica dell'emoglobina per l'ossigeno; la frequenza cardiaca, accompagnata da un "Bip!" a pulsazione. Se uno ritorna aritmico lo si sente, insomma: i "Bip!" diventano irregolari. La strategia adottata per la (hem) "monitorizzazione" di un malato in quelle condizioni è una pezza da "stiamo alla canna del gas", però. E' comunque una pezza efficace, a patto di prestare orecchio al "Bip!" di continuo mentre si sta facendo altro, per altre persone.

****** OSS: operatore socio-sanitario. La figura nata per sostituire il vecchio profilo dell'infermiere generico: si occupa di assistenza di base (cioè igiene del corpo, aiuto durante la deambulazione, aiuto durante la mobilizzazione, aiuto nell'assumere i pasti...) e di attività alberghiere (rifare i letti, distribuire i pasti), oltre che tecnico-esecutive (preparare il materiale per la sterilizzazione, ad esempio o rilevare e riferire al responsabile dell'assistenza - cioè l'infermiere - i parametri vitali di una persona). Nella realtà di tanti PS l'organizzazione del lavoro li prevede sostanzialmente demansionati più o meno ovunque, "causa necessità", e finiscono col fare prevalentemente attività di trasporto campioni/referti e di trasporto dei malati, perché mancano i barellieri (dato che nessuno li ha mai assunti, quelli che servirebbero), e "qualcuno lo dovrà pur fare". Di conseguenza, quello che sarebbe il loro lavoro finisce immancabilmente - e non certo per colpa loro - per piovere sulle spalle degli infermieri, perché "qualcuno dovrà pur farlo".


giovedì 22 marzo 2018

"Medicina democratica e partecipativa"




"Dotto', lei che ne dice? E'ggrave? Che ciò un sacco di cose da spiccià a casa e sto stronzo ogni due per tre mi fa finta di avere un attacco di cuore. E' la terza volta che veniamo in pronto soccorso questo mese, io ne ho francamente le balle piene, sa? Se deve morì che muoia, sto rompicojoni".
"Io direi che suo marito ha un infarto, signora. Ma vorrei sentire il parere degli astanti prima di prendere una decisione. Velocemente, per favore, perché io penso che il malato sia grave, e che debba essere immediatamente trasportato in emodinamica. Lei, con la mano alzata, dica".
"Professo' bonasera, so Gigi, l'idraulico, sto in pausa caffè, passavo de qua per caso e non ho potuto fare a meno de stare ad ascoltà. Dico: poniamo pure che ci ha l'infarto: ci ha novant'anni, por omo, nuncapiscepiù ncazzo. Perlamordiddio, lassatelo sta'. Che je fate?"
"Già. Cosa gli facciamo? Lei, con il cappotto rosa, dica".
"Dottore, buonasera. Alessia, personal shopper. Sono qui in pronto soccorso perché ho fatto finta di suicidarmi facendo finta di prendere delle pastiglie per far preoccupare quel porco del mio ragazzo che mi ha tradito, ma lui ancora non è arrivato, e sì che gli ho scritto sette messaggi, al bastardo".
"Signorina, vuole per cortesia arrivare al dunque? Il malato è grave".
"Lei mi tratta con sufficienza, e questo sminuisce il mio tentativo di partecipazione democratica alla decisione medica. E' la saccenza - o meglio, saccenteria! - di quelli come lei, e come Burioni, che rovina il rapporto del cittadino con la medicina. Comunque ho letto su Donna Moderna che il vino rosso fa bene al cuore. Potremmo fargli bere un paio di bicchieri, per intanto?"
"...Oh... Ottima idea, prendo un appunto, guardi. Io pensavo a morfina, acetilsalicilato di lisina, ossigeno e nitroglicerina, ma se lei dice vino... Bene. Se non ci sono altri contributi io provvederei al trasferimento del malato in emodinam... Ah, no, scusi: lei col cappello da alpino, elegantemente accasciato sulla sedia e dalla dubbia continenza urinaria, viste le condizioni dei pantaloni che indossa, dica. Celermente, la prego".
"Me, bevi il vin da sempre. Ma ci ho il cuore che porcaputtana spara colpi, che mi ci han messo l'acceleratore automatico, come il piss macher, ma che porcoduncane mi tiran certe sleppe... Che a me fan incazzare quei bambini di merda che mi fan i gavettoni, che mi incazzo porcodiavolo che mi salta il cuore nella gola, no? Bambini di merda. Allora io dico: ma se il vino ci fa bene al cuore, cazzodiundiavolo, perché a me che ciò l'acceleratore automatico mi va il cuore in sirillazione per quei bambini di merda e mi tira sleppe, ostia, varda che fanno un male del ostia".
"Mi sembra di capire che lei non consigli la somministrazione di vino al malato".
"Riesco mica a cagare, sa?"
"Di questo potremo parlare più tardi, se non le spiace. Ora provvederei a trasferire il malato in emodin..."
"Dottore, temo che il malato sia deceduto".


I titoli sui giornali, il giorno dopo:

L'urlo della vedova: "ASSASSINI, LO AVETE UCCISO VOI"
La testimonianza dell'idraulico: "lo hanno lasciato morire solo perché era un povero vecchio, è stata una cosa inumana".
"Si rifiutavano di prestare ascolto a quello che avevamo da dire. Sono bestie" - esclusiva testimonianza della personal shopper che ha assistito alla tragedia".
"Un branco di incompetenti che ha perso tempo prezioso invece che assumersi la responsabilità di prendere la decisione giusta" - l'amaro sfogo del volontario del corpo degli Alpini che ha cercato invano di contribuire ai soccorsi. (nella foto, sorridente, con i pantaloni bagnati a causa di un palloncino d'acqua scoppiato mentre amorevolmente giocava con un bimbo).




martedì 6 febbraio 2018

Il riposo degli infermieri, il riposo dei medici: quando Penelope, rispetto all'Italia, è una sprovveduta dilettante.

Penelope tesseva la tela (del sudario del suocero Laerte) di giorno, e la disfaceva di notte, si sa: il continuo, laborioso fare e disfare era mirato a guadagnare tempo, sperando che il marito Ulisse riuscisse a fare ritorno ad Itaca prima che la tela fosse finita, perché a quel punto Penelope - lo aveva promesso - sarebbe stata obbligata a sposare uno dei pretendenti al trono dell'isola. Come andò lo sappiamo: Ulisse tornò a casa dopo dieci anni, a tela non ancora terminata, uccise tutti quelli che gli volevano fregare moglie e trono, e visse felice e contento.

A differenza di Penelope, che tesseva e disfaceva sì per guadagnare tempo, ma col nobile obiettivo di rimanere fedele al marito Ulisse, dal 1994 il legislatore italico, per quel che riguarda la professione infermieristica, tesse e disfa con l'unico obiettivo di fottere i lavoratori, scansare le sanzioni europee e risparmiare un sacco di soldi sulla pelle dei lavoratori e dei malati.

La tela in questione è quella delle ore minime di riposo tra un turno lavorativo e l'altro. No, non voglio parlare di retribuzione infame e delle indennità ferme da 24 anni: non voglio parlare di soldi. Voglio parlare di ore di sonno. Di ore di riposo. Di palpebra calante, sonno, rischio di errore e responsabilità professionale di quei lavoratori stanchi al punto di barcollare, quei lavoratori che se sbagliano rischiano di uccidere la persona malata.

Nel 1993, 25 anni fa, la UE se ne esce con una direttiva (93/104/CE) che impone ai paesi membri l'osservazione di periodi minimi di riposo, a salvaguardia dei lavoratori e degli utenti: la direttiva è scritta per tutti i tipi di lavoro e per tutti i lavoratori, dall'autista di autobus all'operaio metalmeccanico, e prevede un numero minimo di ore di riposo consecutive settimanali (24+11, cioè 35), un  numero massimo di ore lavorative settimanali (48), un numero minimo di ore di riposo tra un turno lavorativo e l'altro (11), un numero minimo di settimane di ferie l'anno (4).

L'Italia riesce a fare finta che questa direttiva non esista. Riesce a fare finta di nulla PER DIECI ANNI. 

Nel 2003 l'Unione Europea rimbrotta governo e parlamento italiano per il ritardo ingiustificabile nel recepire questa direttiva, e minaccia sanzioni economiche. A quel punto il Governo, per evitare di pagare multe salatissime, porta (in fretta e furia) in aula il decreto legislativo (66/2003) col quale il Parlamento recepisce quella direttiva ormai vecchia di dieci anni. Ma, almeno per quel che riguarda infermieri, medici e personale sanitario in genere, lo fa per finta, e al solo fine di NON PAGARE LE MULTE. 

Le regole infatti valgono per tutti i lavoratori, TRANNE quelli della sanità: loro i riposi minimi che valgono per tutti gli altri possono non rispettarli, perché: a) manca il personale, e non si ha alcuna intenzione di formare e assumere le figure mancanti che servirebbero a tappare i buchi lasciati negli organici dalle "nuove" regole vecchie di dieci anni; b) i lavoratori della sanità sono superuomini indistruttibili e infaticabili, e quindi possono lavorare tranquillamente anche per diciassette ore su ventiquattro. No, non è un errore: diciassette ore di lavoro dalle 7:00 alle 7:00 del giorno dopo, magari in una rianimazione. Folle? Sì, folle. Ma a norma di legge, dato che a partire da subito (2003) le deroghe alla normativa sono cominciate a fioccare.

(io ho cominciato a lavorare nel 2005. Grazie alle deroghe, nel primo reparto nel quale ho lavorato seguivamo la griglia di turni pomeriggio (14:00 - 21:15) - mattino/notte (7:00 - 14:15 E 21:00 - 7:15). Lavoravo in Oncologia: 25 malati, dei quali tre in isolamento. Due infermieri di notte, da soli, che il personale di supporto era (ed è) una chimera: dopo diciassette ore di lavoro nelle ultime ventiquattro terminavamo il turno di notte barcollanti. Davamo consegna biascicandola, esausti fisicamente e piegati dal sonno. Una mia collega una volta si è addormentata sulla sedia subito dopo aver finito di dare consegna, per dire. Altre sono andate a sbattere mentre cercavano di guidare fino a casa, e fortunatamente non si sono fatte troppo male. Fa rabbrividire pensare che fino a venti minuti prima quella persona, troppo esausta per riuscire a guidare, avesse responsabilità diretta sulla vita di venticinque persone malate e in trattamento chemioterapico).

La scusa ufficiale, ai tempi (e l'ho già scritto in diverse occasioni, ma lo riscrivo, perché mi piace essere ripetitivo) era che gli infermieri non c'erano (ed era vero, ed è vero ancora oggi, solo che la situazione è enormemente peggiorata, rispetto ad allora. Enormemente, sì), e dato che quegli infermieri inesistenti non potevano essere assunti, per garantire il servizio ai cittadini era necessario derogare alla legge del 2003 che recepiva la direttiva del 1993, e costringere al superlavoro medici ed infermieri.

Così si deroga. E si continua a derogare ancora di più quando la crisi mondiale  (la truffa, chiamiamola con il suo nome) esplode nel 2008: si smette di sostituire il personale andato in pensione o in maternità, gli organici decrescono, il carico di lavoro aumenta, l'età media pure, e aumentano conseguentemente i richiami in servizio, che fioccano quando uno di noi si ammala o si rompe: gli organici sono al minimo, e per coprire il turno si può soltanto richiamare in servizio qualcuno che ha un giorno di riposo. Io arrivo a lavorare otto giorni di fila (due mattini, tre pomeriggi, tre notti. Poi un giorno e mezzo di coma, e si ricomincia). Si va avanti così per anni.

(E ad un certo punto mi rompo io. Non faccio un giorno di malattia, ma mi rompo. Non dormo di notte, mi trascino in reparto guidato solo dagli automatismi, litigo con i parenti che mi rallentano nella mia lista di cose da fare a tappe forzate, e una volta, subito dopo la fine del turno, appena tornato nella mia stanza marcia, ho quello che credo sia stato l'unico attacco di ansia - o di panico - della mia vita. E spero anche che sia stato l'ultimo, grazie. Brutto brutto. Non ce la faccio più, e ne prendo atto: comincio ad accarezzare l'idea di licenziarmi e di cercarmi un altro tipo di lavoro. Uno qualsiasi, non mi importa. Ma ho un mutuo sul collo, e su questa maledetta professione ci ho investito troppo, e quindi resisto cercando di difendermi come posso: smetto di rispondere al telefono. Smetto di vivere "a disposizione". Quando sono di riposo, mi rendo irreperibile: è un mio diritto, me ne riapproprio. E ho cominciato a pretendere di avere copia dell'ordine di servizio quando qualcuno cerca di farmi saltare un riposo, altrimenti non rientro. Basta quello, nove su dieci, per indirizzarli su qualcuno di più malleabile e meno esaurito. Insomma, cerco di sopravvivere. E in qualche modo ci riesco. Ma sono stato ad un passo dal mollare, perché stavo davvero dando fuori di matto. E con dando fuori di matto intendo dando fuori di matto, esplosioni incontrollabili di rabbia comprese, ne ho già parlato anche qui sopra, nel post La Rabbia)

Arriviamo al 2014. La UE non ci sta, ad essere presa per i fondelli, quindi richiama l'Italia: basta deroghe alla normativa del 1993 recepita nel 2003, o saranno multe molto salate. Il governo Renzi corre ai ripari, e il Parlamento approva la legge che impone di eliminare le deroghe alla normativa (la normativa europea deve essere applicata senza deroghe, che, data la gerarchia delle fonti di legge, anche quando sono previste per legge di un paese membro decadono, dato che c'è una legge gerarchicamente superiore che non ammette deroghe). La legge (161 30/10/2014) concedeva un anno di tempo dall'entrata in vigore perché i datori di lavoro - aziende pubbliche e private - si potessero adeguare, e quindi entro il 15 novembre 2015 tutti i problemi organizzativi che avevano reso "necessarie" le deroghe alla normativa sarebbero dovuti essere risolti. Per risolvere quei problemi ci sono soltanto due modi: tagliare drasticamente le prestazioni e i posti letto (ma le conseguenze sulla salute pubblica sarebbero enormi) o assumere il personale che manca (tipo quei 25.000 infermieri disoccupati che non vengono assunti nonostante la carenza di organico abbia sforato le 65.000 unità). Dal trenta ottobre 2014 al 15 novembre 2015, incredibilmente, si è scelto di non fare niente. Anzi, qualcosa si è fatto: il personale è ulteriormente diminuito. La quota di PIL investita in sanità, anche. Quando si dice "una manovra a tenaglia", eh?

Come ho già avuto modo di scrivere, il 15 dicembre 2015 un asteroide ha colpito simultaneamente tutte le aziende ospedaliere - pubbliche e private - d'Italia, che si sono trovate "da un giorno all'altro" a gestire la "grave" situazione.

Da lì, il colpo di genio: prevedere delle deroghe alla legge del 2014 che eliminava le deroghe del 2008 (e del 2003) ad una legge del 2003 che recepiva una direttiva UE del 1993.

Quali deroghe? Ma quelle che hanno appena formalizzato infilandole nel rinnovo del contratto, semplice! Quelle che prevedono che undici ore di riposo tra un turno e l'altro (e il limite giornaliero delle dodici ore e cinquanta di lavoro) debbano valere per tutti i lavoratori di tutta Europa, infermieri e medici italiani esclusi: loro sono speciali, non hanno bisogno di riposare. Tanto se sbagliano sono solo problemi loro, no? Sono o non sono professionisti? Hanno anche l'assicurazione, no? Quindi chissenefrega, spremiamoli finché non si rompono.

(parentesi sul rinnovo del contratto: no, non saranno 85 euro lordi. Non per gli infermieri. Sopra i 26.000 euro di reddito lordo saranno di meno. Sembra attorno ai 65. Meno l'indennità di vacanza contrattuale (14 euro al mese), diventerebbero 51. Lordi. Il mio reddito è di 28.500 euro lordi l'anno, quindi su quei 51 euro ci pagherò il 38% di imposta sul reddito. Quindi l'aumento netto sarà pari a... 31 euro al mese. Ecco: a fronte di quei 31 euro, in cambio questi pretendono di farci ingoiare per la seconda volta le deroghe alla legge che eliminava le deroghe, ok? Siatene molto, molto incazzati, perché qui si gioca con la nostra salute e con la salute dei malati, si risparmiano un sacco di soldi, si uccide per fame il servizio sanitario nazionale, e in cambio ci offrono un piatto di lenticchie, e lo chiamano "un grande accordo", ok?).

Il nuovo, meraviglioso contratto, tanto atteso dopo quasi dieci anni di blocco contrattuale (durante i quali i lavoratori hanno perso più del 20% del loro potere d'acquisto, e le progressioni di carriera sono rimaste congelate), ci darà quattro spicci, e metterà nero su bianco che l'Italia è furba, e può continuare a sfruttare i propri lavoratori fregandosene della UE e delle sue normative, come delle minacce di sanzioni: basta far finta di cambiare le cose ogni tanto, e in questo modo si guadagna tempo, e sino alla prossima minaccia di sanzione si è a posto. Quando quella minaccia si concretizzerà, be'... faremo solo finta di adeguarci, come già fatto nel 2003 e nel 2014. Noi siamo furbi.

E io sono incazzato nero.