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lunedì 30 ottobre 2017

Inesistenza infermieristica

Sono passati ventitré anni dalla legge che ha istituito l'attuale profilo dell'infermiere.
Sono passati diciotto anni dalla legge che ha abrogato il mansionario infermieristico.
Sono passati diciassette anni dalla legge che ha istituito il corso di laurea in infermieristica.
Da allora aspettiamo che si attivino i corsi di laurea specialistica che avrebbero dovuto permettere di specializzarci in area critica, area materno infantile, area geriatrica eccetera. Niente.
Sono passati undici anni dalla legge che ha istituito l'ordine degli infermieri, e in questi giorni si sta mettendo in scena il terzo tentativo di far passare in parlamento UN'ALTRA legge che lo istituisce, dato che per la legge di undici anni fa sono venuti a mancare i decreti attuativi, e quindi non se ne è fatto niente.
Sono passati venticinque anni dall'ultimo adeguamento delle indennità (di lavoro durante giorni festivi (oggi lavorare a Natale vale 17.51 Euro. Lordi. Per l'intera giornata), di turno, di lavoro in terapia intensiva (vale 4.13 Euro al giorno. Lordi) eccetera.
Sono passati dieci anni dall'ultimo rinnovo del contratto.
Sono passati sedici anni dall'accordo conferenza stato-regioni che ha istituito la figura del OSS (che avrebbe dovuto sostituire nei reparti la figura dell'infermiere generico, occupandosi di quelle attività a bassa complessità, standardizzabili, che devono essere eseguite dal personale di supporto dietro disposizione e sotto la responsabilità del responsabile dell'assistenza generale - cioè l'infermiere-).
Sono passati tre anni da quel decreto 566 che istituiva le competenze avanzate infermieristiche, ma anche quelle sono rimaste sulla carta, e in ogni caso sarebbero state isorisorse (cioè: voi frequentate master a pagamento, acquisiste abilità e competenze, vi assumete tutta la responsabilità civile e penale di quel che fate esercitando queste vostre competenze avanzate, MA NON PRENDETE UN CENTESIMO IN PIU', fate gli specialisti aggratis), quindi dico una parolaccia a caso, ma non la scrivo.

Nella realtà quello infermieristico è un universo cristallizzato nel momento del cambiamento. Una fase evolutiva interminabile, durante la quale abbiamo visto aumentare le responsabilità (via il mansionario, siamo professionisti e agiamo in autonomia, quindi rispondiamo direttamente del nostro operato) e diminuire il numero di infermieri nei reparti, aumentare il carico di lavoro non improprio, cioè di vera assistenza infermieristica, aumentare gli adempimenti burocratici, aumentare la quantità di lavoro non infermieristico (attività alberghiere e di assistenza di base) impropriamente caricato sulle spalle degli infermieri. Da una parte c'è un magistrato che non può che rifarsi alla legge, e dall'altra c'è la realtà degli ospedali, dei reparti e delle case di cura, nei quali la legge non viene MAI osservata.

Da una parte, in forza di quel che sulla carta è stato disposto, il professionista infermiere viene condannato insieme al medico che ha sbagliato la prescrizione, perché l'infermiere DEVE riconoscere una prescrizione sbagliata e DEVE impedire il danno alla persona; dall'altra, l'infermiere che lavora in una casa di cura, se non vuole perdere il lavoro, DEVE assumersi la responsabilità della somministrazione di terapie fatte assumere dal personale di supporto quando nella struttura NON è presente un infermiere (l'infermiere è il parafulmine, praticamente).

Da una parte il professionista condannato per omicidio colposo, dall'altra l'operaio dell'assistenza che nel momento in cui il malato si è buttato giù dal letto era impegnato a cambiare un pannolone. Dice: signor giudice, io ero impegnato a cambiare il pannolone alla signora Maria, otto stanze più in là. E il magistrato sospira, allarga le braccia e dice: "cambiar pannoloni non è lavoro da infermiere. Garantire l'incolumità del malato, invece, sì: colpevole", e amen.

Da una parte il salario di un metalmeccanico che non lavora sui turni, dall'altra la vita che gira attorno ai turni in ospedale, la responsabilità professionale, il rischio biologico e infettivo, le aggressioni, lo stress, gli esseri umani che muoiono nonostante il tuo lavoro e il tuo impegno, l'assicurazione professionale, l'aggiornamento continuo a pagamento, l'iscrizione al collegio/ordine (non me ne frega una cippa, è una questione di lana caprina che non avrà alcun impatto sulla nostra realtà lavorativa), l'impossibilità di poter fare carriera, l'impossibilità di scioperare perché si deve garantire il servizio ai concittadini.

400.000 infermieri fanno funzionare la sanità, in questo paese, ma sembra che questo non importi a nessuno. Siamo invisibili. Inesistenti.








mercoledì 18 ottobre 2017

Bestemmiare come un ateo.

"Anto, tu sei ateo, no?"

Sono ancora piegato su me stesso, il pollice sinistro, pulsante , è già violaceo (la martellata è stata forte, sì), stretto nella mano destra come se l'intento fosse quello di comprimerlo per evitare che esploda. Cerco di mantenere un briciolo di dignità, ma il dolore è così forte che mi vengono le lacrime agli occhi. Ansimo e bestemmio in un sussurro, quattro sillabe speciali che si allungano sulla erre e sulla d. Da farci un mantra, gente.

"Oh", fa quello, tutto serio. Mi giro a guardarlo come se mi avesse appena fatto la pipì sul tavolino del salotto. "Sei ateo o no?", mi chiede.

"No, sono evoluzionista e razionalista. Cazzo!" Tiro il fiato, tiro altre tre bestemmie e oso guardarmi il pollice: l'unghia è già quasi interamente nera. "Merda!", sìbilo. Ciao ciao chitarre per una settimana.

"Chiaro che sono ateo, ma l'esserlo è solo una conseguenza. Non ho studiato per diventare ateo, e non avevo l'obiettivo di diventarlo. Sono diventato ateo leggendo altra roba, ok? Incidentalmente. Astronomia, biologia, fisica, chimica e geologia non hanno lo scopo di negare l'esistenza di una divinità. Eppure, incidentalmente, nel loro complesso la negano, quell'esistenza. E se ne sbattono pure, ok?". Barcollo verso il lavandino del bagno, apro l'acqua fredda e ci metto sotto il pollice. Quello si mette a fare ancora più male, quindi ribestemmio. Sto così per un po', cambiando ogni tanto divintà.

"Comunque non credi in Dio", mi dice lui, che mi ha seguito e si sta godendo la scena dell'ateo sofferente con la mano al fresco.

Eccone un altro, penso, e chiudo l'acqua. "No", dico io asciugandomi con delicatezza la mano. Muovo il pollice: fratture non dovrei averne. Il dolore un po' è diminuito. "Così come non credo agli unicorni, alle fate del bosco, agli gnomi e ai semidei umanoidi che sarebbero nati sulla terra, da madre umana e padre divino, e che avrebbero compiuto imprese straordinarie, per poi diventare a propria volta una divinità", dico mentre vado in cucina, prendo un ghiacciolo, lo avvolgo in un tovagliolo e me lo piazzo sul dito. Lui mi guarda male. "Sto parlando di Ercole", preciso. E lui mi guarda peggio, perché ha capito che lo sto coglionando.

"Se non credi in Dio, perché bestemmi?", mi chiede con l'aria di quello che ha appena calato sul tavolo una scala reale.

"Perché mi sono tirato una martellata sul dito", dico io."Martellata sul dito, testata contro uno stipite, mignolino contro il comodino, tibia contro spigolo di un gradino in cemento... sono tutte situazioni da bestemmia. Sono situazioni in cui la bestemmia è appropriata, consona, liberatoria".

"No", mi dice lui, "non è quello che intendevo. Non il motivo per il quale bestemmi, non la martellata o la testata. Volevo chiederti: perché bestemmi un dio che non credi che esista? Non ti sembra una cosa stupida da fare? Voglio dire: sei così razionale su tutto, perché nella bestemmia diventi irrazionale, e ti rivolgi ad un dio che secondo te non esiste?". La sua faccia a questo punto ha assunto l'espressione di chi ha fatto scacco matto e scala reale mandando in bancarotta gli altri a Monopoli.

"Hai presente cos'è un meme culturale?"
"I meme quelli che girano in rete?"
Faccio segno di no.

"Il meme culturale è l'equivalente culturale del gene in biologia. Il meme è un'informazione che si trasmette culturalmente di generazione in generazione, attecchendo durante i primi anni dell'infanzia. Dawkins faceva l'esempio del "non ci si avvicina ai serpenti" e "non si gioca vicino ai burroni". Sono informazioni che il bambino deve prendere per buone, senza potersi permettere il lusso di sperimentarne sulla propria pelle gli effetti della loro non osservanza, perché altrimenti rischierebbe di morire: per il morso del serpente o per essere precipitato giù da un burrone. Ok?"

"Cazzo c'entra col fatto che sei ateo e bestemmi?"

Sospiro: "C'entra, c'entra, aspetta. Tornando al meme culturale: mio padre era un ateocomunista sardo. Usava prevalentemente la stessa bestemmia, ma riusciva a declinarla in decine di sfumature diverse, ognuna adeguata alla situazione: tuo figlio (io, sì) dà fuoco per sbaglio al contenitore della carta riciclata, roba che i pompieri ci hanno dovuto lavorare per una mezz'ora? Bestemmia soffiata, rassegnata, a spalle (e palle) cascanti. Significato: mio figlio è un idiota, e io non ci posso fare niente. Il Torres perde in casa col Casarano, dicendo addio ad ogni speranza di poter abbandonare la serie C2? Bestemmia da disillusione. Mormorata. Significato: ci ho sperato, ci ho voluto credere, ed è andata male, uffa. Sono un po' triste. Ti tiri una martellata sul dito? Bestemmia soffocata, ansimante, recriminante. Significato: ma perchéccazzo non sono stato più attento? Fa malissimo ed è tutta colpa mia, e non posso prendermela con nessun altro se non con  me stesso, perché sono stato io ad essermi tirato una martellata sul dito DA SOLO, bestemmia bestemmia bestemmia. Riconosci? Hai appena visto la mia versione della bestemmia da martellata sul dito, e credo che mio padre non l'avrebbe fatta in maniera molto diversa. Ecco, le bestemmie di mio padre sono, per me, un meme culturale. Esprimono una condizione, una emozione. Emergono da sole quando il contesto le richiede, e hanno un significato che è completamente disancorato da quello che letteralmente significano. Quando bestemmio non sto pensando che dio esiste davvero e che somiglia ad un suino: quando tu dai del figlio di puttana a qualcuno non stai davvero sostenendo che la sua mamma è una meretrice, no? Quel che significa quel "figlio di puttana" dipende dal contesto. Magari è uno che ha appena fatto un gol spettacolare fregando mezza difesa avversaria e palleggiando di spalla prima di chiudere in rovesciata e infilarla nel sette. E in quel caso il tuo "figlio di puttana" avrebbe un tono incredulo e ammirato. O magari è uno che ha impiccato il tuo cane e poi ne ha abusato sessualmente in diretta internette: figlio di puttana lo stesso, ma significato completamente diverso, ok? Le imprecazioni sono cultura. Le bestemmie sono cultura. Sono frasi idiomatiche che esprimono una larga gamma di sentimenti, emozioni e stati d'animo, e vi ricorriamo automaticamente, perché fanno parte della nostra programmazione di base. Si sta alla larga dai serpenti, non si gioca vicino ai burroni, e dioporco mi sono tirato una martellata sul dito, chiaro?"


"Tu sei il diavolo", mi ha detto lui.